| HOKUTO NEMESI
1. Un nuovo despota
Il sole cocente arroventava le strade impolverate entro le grige mura della città. La calca delle persone spinte a trovare il loro “buon affare”, rendeva una volta a settimana quella cittadina tranquilla una bolgia infernale. Urla, rilanci, scommesse e massaie in preda all'euforia per accaparrarsi un pezzo di stoffa pregiata. Medicine City era ora un centro nevralgico dei commerci della regione. Un tempo nascondiglio dei pochi medicinali disponibili dopo la guerra che devastò il mondo a fine secolo, si presentava ormai come un fiorente crocevia per i mercanti. Dopo essere stata nella mani di diversi tiranni, si riorganizzò sotto l'ingenua quanto effimera definizione di Città Libera. Seta, vino e spezie provenienti da tutto il mondo in un mercato polveroso e prevalentemente composto da baracconi di fortuna; talvolta sorretti da legno di risulta dallo smantellamento di qualche tetto, talvolta da lamiere di vecchi veicoli o peggio da vecchie travi arrugginite recuperate da quelli che un tempo erano i grattacieli.
Un uomo si distingueva dalla folla di acquirenti del mercato per la stazza, si confondeva a tratti solo perché coperto da un lunghissimo e malconcio spolverino grigio. Una cappa dello stesso tessuto tenuta sulla testa ne adombrava i truci lineamenti. Il suo era un passo silente in mezzo ad una folla chiassosa e irrequieta di persone intente ad accaparrarsi questo o quell'oggetto, questo o quel cibo. Diverse qualità di cereali un tempo non più reperibili, erano ora magicamente ritornate ad imbandire le tavole dei contadini di quei luoghi. Benché Medicine City offrisse alloggio a molte anime, e non fosse sotto il diretto controllo di alcun signore della guerra, era però attorniata dai possedimenti di un NUOVO SIGNORE. Una nuova potenza territoriale era nata in quegli anni di pace relativa. Soventi gli attacchi di predoni del deserto minacciavano questa pace e tranquillità, la guardia cittadina organizzata dagli abitanti operosi del luogo era stata abile nel rintuzzare tali attacchi e limitare i saccheggi. Ma questa nuova minaccia raccontata dai viaggiatori e carovanieri sembrava scuotere le menti degli abitanti.
L'esercito dell'impero celeste governava ormai su una vasta porzione dei territori confinanti nonché sulle città e i villaggi vicini. La sua avanzata avrebbe presto inghiottito i villaggi ancora indipendenti. Tuttavia il conio della moneta imperiale aveva anticipato l'acciaio rovente delle sue lance. L'avanzata di questa nuova potenza era presente nello stesso denaro che i mercanti della città maneggiavano.
All'uomo scuro ricoperto dallo spolverino vennero offerti 3 talenti d'oro per una grossa tanica di benzina ancora piuttosto rara e difficile da reperire. Soppesò le monete sulla mano destra e accettò suo malgrado un usanza che aveva perso da tempo: contrattare col vil denaro. Senza soggiungere alcuna parola e allontanandosi dall'ultima bancarella fissò nuovamente le 3 monete sul palmo della mano. Una in particolare nel verso della testa rappresentava il bassorilievo di qualcuno che conosceva. Un lampo di luce attraversò il suo sguardo e la bocca secca per il clima e la polvere pronunciò poche parole a denti stretti... “Occhi languidi... La tua vanagloria non ha limiti!”
Nel rialzare la testa notò i mercanti scomporsi e rimettere assieme le proprie merci in robuste sacche di cuoio, alcuni fasciarono tutto con delle stoffe a mo' di fagotto presi dalla fretta. In questo modo poté sentire il rumore di ceramiche andate in frantumi. Sorrise divertito dagli uomini che per paura degli altri si creavano danno. Un soldato si sbracciava mentre altri della guardia cittadina si apprestavano a chiudere il portale in legno e serrature d'acciaio.
<<tsk! Quello non è un vero portale...>> Osservò fra sé e sé. L'uomo incappucciato fissò quindi le mura per un breve tempo, sufficiente a fargli intuire che quei contrafforti trapezoidali erano troppo distanti gli uni dagli altri e ad intervalli irregolari. Le grige mura di pietra non erano poi così spesse e prive di crepe. Era evidente che quelle mura non avevano mai difeso i cittadini da un vero assedio organizzato. Se quest'esercito imperiale disponeva anche solo di mille uomini sarebbero stati sufficiente a far breccia su tali difese prima del tramonto.
La folla era impazzita. L'urlo dei soldati suonava come una sirena d'allarme: “L'armata rossa dell'impero! Sono qui, ci attaccano!” Neanche il tempo di brandire le proprie spade, di mettere mano all'elsa che i primi uomini appostati sulle mure caddero colpiti da delle frecce infuocate. “Arghhhhhhhhhhhhhh... Ahhhhhhh” Le urla degli uomini colpiti a morte precedevano i loro tonfi ai piedi delle mura. La folla comune riparò nelle proprie case, i mercanti più ricchi che possedevano una vettura o un cavallo preferirono dileguarsi passando dalla porta a Sud della città. L'efficienza delle guardie locali permise almeno ai frequentatori più ricchi della città di trovare la salvezza. Tuttavia il passo degli uomini dell'imperatore era grave e ritmato, avevano aggiunto perfino dei tamburi per spaventare e intimare i villaggi che andavano conquistando.
“Duemila uomini! Questi bifolchi non possono tener testa a duemila uomini in armi...” L'uomo incappucciato pronosticò un conteggio in base ai colpi e le frecce scagliate ma la mano di una donna, dal corpo sinuoso, gli occhi di una luce cobalto e una lunga coda di cavallo gli afferrò il braccio destro come a trattenerlo. Si voltò e vide la sua compagna, e mentre la fissava con rimprovero lei lo implorò... “Non andare, Medicine City cadrà... Mio padre troverà un accordo, non occorre che tu...”
Si liberò senza preoccuparsi di rassicurarla e con incedere sicuro si diresse verso il portale, ormai tambureggiato dai dardi di balestra del nemico in avvicinamento. La donna l'osservò allontanarsi e disperandosi finì ginocchia a terra, piangendo e implorandolo di non andare nel vano tentativo di dissuaderlo dai suoi folli pensieri.
I soldati imperiali ancora ad una ventina di metri dalle mura videro aprirsi il grande portale. Sghignazzarono convinti di vedere agitata una qualche stoffa bianca issata a mo' di bandiera in segno di resa. Ma non fu così: dopo aver sterminato i pochi uomini a guardia delle mura, un uomo solo per quanto imponente si presentò uscendo da quel portale.
I soldati dell'impero per un attimo attoniti si guardarono intorno, e poi deciso che si trattava di un pazzo spararono su di lui tre enormi dardi di balestra. FSSSHHHHHHHHHHHHH!!! Zack!
Con la mano destra l'imponente uomo scuro aveva afferrato i tre dardi, e prima ancora che i balestrieri potessero stupirsi vennero centrati a loro volta dai loro stessi proiettili. “Ma chi diavolo è? Non esistono più uomini così comandante! “ I più spavaldi reagirono male “Ha solo avuto fortuna, ammazziamolo!” Nel frattempo il portale dietro l'uomo incappucciato si richiuse e l'uomo divenne di colpo oggetto di scherno da parte dell'armata imperiale. “Ha! Ha! Quei cagasotto ti hanno lasciato solo bestione!”
Un gruppetto di dieci uomini si avventò sull'uomo brandendo delle corte spade che si mostrarono inutili. Raggiunti da una gragnola di possenti pugni finirono tutti a terra. Si rialzarono e provarono ad attaccarlo di nuovo, ma le sue schivate li costrinsero ad affondare le lame nelle carni dei propri compagni. Gli uni contro gli altri caddero sotto i colpi dell'acciaio amico, incapaci di comprendere la tecnica di lotta di quell'uomo. Mentre la retroguardia dell'esercito digrignava i denti minacciosa, l'uomo levò lo spolverino mostrandosi in tutto il suo vigore fisico e urlando il nome del comandante dell'esercito, con un pugno stretto e i denti serrati a mostrarne l'ira crescente.
“SHOKIIIIIIIII! SHOKIIIIIII! Grrrrrrrrr... Vieni fuori, sappiamo entrambi perché sei qui!”
Un uomo dall'armatura scarlatta e lucente si fece spazio fra le fila dell'esercito, e con un gesto della mano fermò i suoi tiratori, ora intenti a caricare le balestre e prendere la mira. Passo dopo passo, l'uomo dalla barba rossa, riccio e dagli occhi gentili si avvicinò all'uomo che ne aveva urlato il nome. Gli sorrise di rimando inclinando il mento verso il petto. I due si conoscevano.
“Eccomi! Io non mi faccio ingannare... E come sai era proprio te che volevo. Il viceré vuole queste terre, chissà perché?”
Gli uomini del generale rosso sghignazzarono divertiti. “Il nostro comandante è uno dei generali della prodigiosa arte di Gento... Ha! Ha! Ha! Cosa crede di poter fare quell'uomo sfidandolo a mani nude? Sarà peggio per lui!”
In quello stesso istante il generale rosso di Gento sferrò un raggio energetico, ma l'uomo scuro schivò il colpo con estrema facilità e replicò con un potente calcio sul petto di Shoki, che però non si mosse né sembrò patire il colpo. L'uomo scuro sgranò gli occhi mentre Shoki sorrise divertito per poi replicare con un colpo in serie. Agitò i palmi delle mani verso il malcapitato spingendoli e ritraendoli come un forsennato ad una velocità tale che i suoi uomini non videro i colpi.
“Colpo dei cento palmi di fuoco di GENTO! Wa-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-”
Incredibilmente il suo avversario schivò tutti i colpi e riuscì ad afferrargli entrambi i polsi e bloccargli le mani. Il palesarsi di una sorta di superiorità tecnica fece accigliare i vice dell'armata. I soldati scelti compresero che il loro capo stava fronteggiando qualche altro MAESTRO di tecnica assassina. Qualcuno di altrettanto speciale, capace di far fuori da solo interi plotoni.
Shoki rimase sbalordito a sua volta e cercò di resistere ma pur sforzandosi non riuscì a liberarsi finché una testata non lo raggiunse sulla fronte e lo costrinse a mollare la presa. Poi un montante al corpo lo raggiunse ma protetto dalla sua armatura non ne risentì. Risollevò il mento e fissato il suo avversario sorrise di nuovo nel vederlo iracondo e sudato.
“Non c'è dubbio, sei stato un grande Maestro, ma senza il tuo spirito combattivo i tuoi colpi non possono scalfirmi!”
Poggiando la mano sinistra rovente di aura lucente, gli fuse addosso la spalliera destra facendolo rovinare a terra e costringendolo a levarsela. “Arghhhhhhh! “ Ora col sedere a terra e i palmi delle mani sprofondati nel terreno, le gambe lunghe verso il nemico, poteva osservare il generale di Gento dal basso verso l'alto. Una posizione insolita per lui. Così toccandosi la ferita soggiunse...
“Complimenti Shoki! Eh! Eh! Ma questo non cambierà le cose...”
Il generale della luce rossa di Gento guardò quell'uomo possente e iniziò a camminare avanti e indietro nervosamente per qualche metro. Fissandolo di lato, come un felino davanti ad una preda di grossa taglia gli puntò il dito con fare accusatorio.
“Puoi averla data a bere a chi vuoi, ma non me la racconti giusta! Falco è troppo leale e obbediente per comprenderlo... Ma io non ti lascerò in vita anche se hai sigillato il tuo pugno!“
Gli occhi dell'uomo fissarono il sole. Era altissimo nel cielo e ancora più cocente sulla ferita e sulle ustioni alla spalla. Poi con tono provocatorio soggiunse...
“Se è il successore di Hokuto che vuoi sconfiggere, ti conviene aspettare. Presto Kenshiro sarà qui...”
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